lunedì 11 aprile 2011

Inferno e paradiso della rete

Sul rapporto Chiesa e Internet

L'opinione pubblica, soprattutto italiana, ha una visione apocalittica di Internet. Letteralmente (anche se non nel senso originario del termine), Internet rappresenta per molti, il segno decisivo della "fine del mondo".
Solo per citare alcuni esempi di questo atteggiamento, basta ricordare che quando scomparve una ragazza ad Avetrana, in Puglia, la prima cosa che fecero gli inquirenti (non certo delle persone superficiali) fu quella di controllare i contatti Facebook della ragazza. Se c'era un mostro, andava cercato su Internet.
Poco dopo, abbiamo dovuto scoprire che il lupo non era nascosto nel bosco, ma molto, molto vicino a casa.
E' tanto vero che ogni tanto si è portati a pensare che per molti italiani (per molti italiani influenti, i cosiddetti "opinion maker"), la rete si chiami "InFernet", non più "Internet".

In questi ultimi tempi però ci sono segnali di segno molto diverso da parte di un mondo di solito non avvezzo a facili entusiasmi giovanili... Stiamo parlando della Chiesa cattolica, fino alle sue massime gerarchie.

Mettiamo insieme alcuni piccoli indizi:

1) l'ultima notizia è che la rivista dei Gesuiti, Civiltà cattolica, esprime una appassionata rilettura dell'etica hacker. Per chiunque conosca l'espressione "etica hacker" non c'è nulla di strano.
Per l'italiano che si informasse solo attraverso i giornali principali e i TG sarebbe una notizia sconvolgente: infatti, in genere gli hacker vengono confusi con i cracker e quindi sembrerebbe che i Gesuiti facciano l'elogio di pericolosi "pirati informatici".

Ai più avveduti non sfuggirà che, però, si sa, i Gesuiti sono sempre stati originali! Troppo intellettuali, troppo sottili!

2) Il discorso è diverso se viene fuori che Benedetto XVI, il Papa Ratzinger, simbolo di conservazione... "apre" a Facebook. E, colmo dei colmi, nello stesso giorno, la pagina personale del Presidente della Repubblica francese, Nikolas Sarkozy (giovane, dinamico, spregiudicato) viene attaccata da un hacker, che, non senza un sottile senso dell'ironia, annuncia la rinuncia a presentarsi per un nuovo mandato presidenziale.
Sarkozy, il giovane, non è stato colpito per caso: alcune normative decise dalla sua presidenza sono viste come veri e propri attacchi alla libertà di espressione sulla rete.
Ratzinger, il vecchio, nonostante tutti i caveat possibili, si dice a favore delle relazioni, anche se virtuali, permesse dalla rete.
Sarkozy, ma con lui quasi tutti i governanti del mondo, vedono in Internet un pericolo. E non distinguono neanche tra rischio e pericolo!

3) Qualche anno fa, il molto amato e molto stimato Arcivescovo di Milano, Cardinale Carlo Maria Martini, stupì il mondo con una difesa della televisione che rappresentava quasi il contraltare della visione "apocalittica" di un intellettuale laico, Karl Popper, che denunciava il pericolo della televisione "cattiva maestra".

Insomma, è come se ogni tanto, di fronte alla frenesia del non pensiero contemporaneo, figlio della fretta, le ovattate e placide stanze curiali divenissero un luogo più adatto a esprimere giudizi meno superficiali della chiacchiera massmediologica attuale.
Non tutti nella Chiesa la pensano così, è vero, ma stupisce davvero la superficialità della classe dirigente mondiale che vede in Internet solo un rischio: e se i despoti mediorientali o asiatici hanno qualche ragione di temere per il loro potere, non si capiscono gli uguali freni posti alla libertà da parte dei governi democratici...
Democratici fino alla soglia della rete?

giovedì 24 febbraio 2011

Crisi dei valori, giovani e handicap

La notizia è bellissima e tremenda allo stesso tempo: una dirigente scolastica che rifiuta a un giovane alunno con sindrome di Down di svolgere una gita, la classe che si ribella e rinuncia in massa in segno di solidarietà.

La scuola è forse l'unico ambito della società italiana in cui grazie all'iniziativa istituzionale (le norme vigenti) l'integrazione delle diversità è avvenuta. In nessun altro contesto sociale italiano, si può venire a contatto di coetanei portatori di qualche disabilità (ma anche con stranieri) come a scuola.
La stessa normativa, infatti, non ha avuto gli stessi risultati sui luoghi di lavoro: la pubblica amministrazione non riesce a rispettare la legge, figuriamoci il privato.
Eppure è risaputo che l'integrazione passa anche (soprattutto?) per il lavoro, come luogo di espressione della propria identità sociale.

Certo le cose non sono più così facili neppure a scuola, la "riforma" ha tagliato, già da tempo, gli indispensabili insegnati di sostegno (con una ricaduta anche in termini occupazionali sugli operatori specializzati provenienti per es. dalla cooperazione sociale).

Se il fatto di cronaca risultasse vero (e non se ne deve dubitare perché la fonte è il responsabile delle politiche di integrazione a livello regionale), però ci sono molte altre cose da dire.

Ogni tanto ancora, troppo spesso, si sente parlare di "crisi di valori" in riferimento alle giovani generazioni. Non si può dimenticare il video di youtube con i compagni di classe che maltrattano un compagno disabile.
C'è però una piccola grande differenza: che dei giovani siano immaturi (o decisamente stupidi) fa parte delle regole del gioco (il gioco e la sfida dell'educazione).
E' diverso però quando un responsabile istituzionale forza le norme vigenti (sia che la violazione abbia rilievo legale o meno) per attuare un comportamento che i giovani (si tratta di scuole media inferiori) valutano come discriminatorio, tanto da rinunciare a un proprio piacere (la gita d'istruzione è una grande avventura e un grande gioco, per i ragazzi).

Dove sta la crisi dei valori? Chi è che ha perso la bussola (morale)?

Possiamo consolarci pensando alle riflessioni (post)weberiane sulla burocrazia, ma non basta. In mezzo c'è stato un secolo, il Novecento, che in nome della burocrazia ha commesso orrori senza fine. Neanche questa è una spiegazione accettabile.

I valori, sociologicamente, possono essere definiti come "ciò che viene ritenuto giusto/sbagliato da una collettività". In questo caso, la crisi dei valori può essere definita come una perdita totale della scala delle priorità: per insensibilità, per stupidità, per codardia? Non si sa, certo è che la lezione, anche oggi, viene dai tanto deprecati giovani...

martedì 22 febbraio 2011

Occidente tramontato: la differenza tra CNN e Al Jazeera

Qualche settimana fa, a un convegno tra sociologi di mezzo mondo, un collega brasiliano fece un intervento critico verso gli europei (gli italiani in particolare), andando quasi in escandescenze: "Siete vecchi! Legati a un'idea vecchia di ricerca". Questa la sua accusa, in estrema sintesi. Forse un po' ingenerosa, ma a molti ha fatto aprire gli occhi: questo è il modo in cui ci guarda il mondo emergente. Emergente in senso proprio: Brasile, Russia, India, Cina (il cosiddetto BRIC).

Quello che accade in questi giorni in Medio Oriente e in Nord Africa però fa pensare anche ad altro. Se si vogliono avere informazioni attendibili, bisogna seguire le versioni in lingua inglese di Al Jazeera o Al Arabiya, non certo i network occidentali.
Era già successo, con la prima guerra del Golfo e soprattutto con la seconda, nel 2003: se si voleva sapere che cosa succedeva in Iraq si doveva seguire quelle TV. Quelle occidentali, infatti, troppo compromesse (anzi "embedded" come dicevano quasi fosse un vanto!), avevano una visione molto unilaterale.
E' tanto vero, che i regimi autoritari deposti in questi giorni stanno oscurando proprio queste televisioni, oltre a Internet.

Insomma è successo qualcosa di incredibile: il prestigio delle democrazie occidentali è stato costruito negli anni della "cortina di ferro", quando i mass media di questi paesi davano le informazioni che i regimi dell'Est Europa censuravano.
Oggi le cose sono molto cambiate, ma non nel senso multipolare, come alcuni avevano ipotizzato all'inizio dell'era della globalizzazione. Sembra di poter dire che il problema risieda nel nostro punto di vista: ancora etnocentrico. Il problema non è solo che in Italia si parli di altro di fronte a eventi epocali, ma che tutto il mondo ricco sembra preoccuparsi soprattutto per il prezzo del petrolio o per i flussi di immigrati e rifugiati.
Questa cosa si potrebbe chiamare "crisi di valori", ma in un senso molto diverso da quello usuale.
Tutta la democrazia esportata sui fusti di cannone sta ora tornando indietro, sotto forma di lotte popolari democratiche e pacifiche contro dittatori sostenuti dall'Occidente. Una contraddizione che rende la TV di un emirato, più affidabile di quelle del "mondo libero".

venerdì 11 febbraio 2011

Il segreto di Mentana

Cosa c'è dietro il successo del TG de La7?



Ormai il dato è consolidato: il nuovo telegiornale di Mentana su La7 è un grande successo di pubblico, raggiungendo livelli di ascolto prima inimmaginabili per quella piccola rete. Non solo, ma il suo successo ha trascinato anche tutti gli atri programmi di La7.
Quali i motivi? Sembra di poter dire che da un certo punto di vista questo risultato distrugga tutti i comodi cliché sulla televisione.
Infatti, sono indubbi i meriti di Mentana (e la sua storia di brillante direttore di TG a un certo punto cacciato e quindi passato dalla parte delle vittime del potere); Mentana sa fare bene la TV, oltre che il TG; è un bravo giornalista, ecc. ecc. Inoltre rispetto ad altri TG "controcorrente" (come il TG3) non è certo identificabile con una parte politica.

Ma forse esiste anche un'altra spiegazione, che pone maggiore fiducia negli spettatori (nei cittadini italiani!).

Nella teoria classica sui mass media, essi vengono intesi sempre come oggetto di "persuasione occulta". Per quanto questo elemento non sia del tutto assente, questa teoria della comunicazione sembra veicolare l'idea di un pubblico passivo e vittima di un potere invincibile.
Ad essa si oppone la teoria dell'interattività che immagina un ruolo più attivo del pubblico. Credo che questo spieghi meglio il successo di Mentana. Infatti il vero ingrediente "segreto" del suo TG sono le notizie.
Il direttore e i suoi giornalisti per circa 30 minuti, in diretta, danno notizie. Questo è un gesto rivoluzionario, in una panorama informativo avvilente che in genere segue uno schema fisso: poche notizie (10-15 minuti, di cui 5 di "pastone" politico più o meno pluralista), e un sacco di "costume e società": cuccioli di animale in difficoltà, la moda della stagione, le emergenze meteorologiche (è inverno: emergenza freddo! è estate: emergenza caldo!), ecc. ecc.

Questo Mentana lo sa bene: il 7 gennaio 2011 ha aperto il TG dicendo che se si cercavano notizie sulla Befana o sull'esodo dei vacanzieri, si doveva cambiare canale. Schietto e chiaro.

Questo fatto però non investe solo l'informazione: oggi in TV per pigrizia o piaggeria, per paura o mancanza di fantasia, si continuano a produrre spettacoli di bassissimo livello culturale dicendo che questa è "la dura legge dell'audience"; si dice che si vorrebbe fare "la TV d'autore", ma che per colpa del pubblico non si può fare: "nessuno la guaderebbe", si argomenta.
Gli ascolti stratosferici di Mentana dicono il contrario. Il pubblico non è completamente fesso. E' vero che guarda delle cose orrende, ma è anche vero che non ha molta scelta. E quelle poche volte che ne ha la possibilità sceglie la qualità