mercoledì 14 ottobre 2009

Orari novecenteschi

Gli operai del cantiere iniziano a lavorare alle 8,00 (vorrebbero anche prima, ma ci sono i regolamenti, d'altra parte loro vengono giù dalla valle entro le 7: "Per evitare il traffico...").
Alle 12,00 precise, scatta la pausa pranzo: non si sgarra, è il momento della calma, per chi non ama il dolce suono del martello pneumatico.
Alle 13,00 si riparte, alle 17,00 si stacca.

Tutti i santi giorni.

Lavoro duro, durissimo in certi casi; pericoloso spesso (non "rischioso").
Però un lavoro con gli orari, cioè le certezze. Si inizia a una certa ora, si finisce ad un'altra. Sabato e domenica non si lavora. La separazione tra vita professionale e vita privata esiste (esiste ancora).
E' anche possibile santificare le feste: domenica non si lavora (non c'è la "consegna"... e non si può dire "sono in ritardo, lavoro oggi e magari anche 'stanotte").

Non sempre funziona così, ma è consolante pensare che esiste una categoria che, di norma, vive ancora nel Novecento. Con le certezze, se non contrattuali e di sicurezza, almeno di orario.

1 commento:

Marco Pedroni ha detto...

La situazione ci colpisce particolarmente perché chi lavora in università, come noi, sta esattamente agli antipodi di questo continuum regolarità 900esca / isteria liquida. Il luogo di lavoro è molteplice: l'ufficio in università (quando ce l'hai, o quando non ne hai più di uno a seconda delle varie funzioni che eserciti nel corso della giornata) + l'ufficio in casa + chiavette o blackberry o iPhone per lavorare in treno, in metropolitana. L'orario: cos'é? Certo, le lezioni hanno orari fissi. Tutto il resto gli si muove intorno mellifluamente, tanto che appena svegli la prima domanda è: ma oggi cosa devo fare, dove devo andare? Non credo di aver avuto una giornata uguale all'altra negli ultimi cinque anni. E non sono sicuro di esserne così contento.