giovedì 22 marzo 2007

"Ciao, come stai?" Metafisica della salute

Non bisogna essere Goffman per sapere quanto sia difficile rispondere, non banalmente, alla semplice domanda con cui siamo soliti salutarci (salutare: verbo o aggettivo?). E non solo in Italia (How are you? Wie geht's? ça va? Ma ci sono almeno 425 modi per "salutarsi").
Non bisogna essere Almodovar per sapere che si tratta di una domanda metafisica*, al fondo. (*rispondeva così a chi gli faceva una domanda sull'amore eterno).
Eppure all'Istat hanno proprio questo problema. E ce l'hanno tutti coloro che vogliano interessarsi delle condizioni di salute della popolazione di un paese.
Demografi, statistici e, da buoni ultimi, i sociologi si interrogano da tempo su come si possa stabilire se una popolazione sia sana o malata (dal nostro punto di vista, si tratta di un continuum: non è che la salute inizia dove finisce la malattia e viceversa... troppo semplice, così).
Uno dei modi più semplici è... chiederlo. Ed è proprio ciò che fa periodicamente l'Istat. Ma fa anche altro, cerca di valutare ("oggettivamente", attraverso indici) anche lo stato reale di salute.
Nell'ultima pubblicazione uscita in tal senso, si leggono cose molto interessanti.
Dai cluster regionali (qui un PDF sintetico) della salute si scopre innanzitutto che in Italia ci sono enormi differenze (al Sud si sta peggio: non è una novità, ma continua a essere una sconfitta del sistema).
Ma è sulla percezione della salute che troviamo le più diverse interpretazioni. Esiste una grande differenza tra "salute percepita" e "salute fisica" (indice ottenuto da 12 domande sulle funzioni fisiche). Al Nord si sta meglio di quanto non si creda e al Sud si sta molto peggio di quanto non se ne sia consapevoli.
Ora, non è facile trarre conclusioni, ma alcune ipotesi di studio possono essere accennate (sulle questioni metodologiche, per ora sorvoliamo).
Se stiamo meglio di quanto crediamo, allora forse le campagne salutistiche o le preoccupazioni di varia natura influiscono in maniera decisiva sulle rappresentazioni sociali.
Se stiamo peggio di quanto non dicano le misurazioni, allora forse esiste un margine, una riserva nascosta che ci fa sentire comunque bene (nonostante tutto). Troppo semplice pensare che la misurazione sia sbagliata.
Allora è vero quello che dicono al Sud ("Qui si sta bene, abbiamo tutto... manca solo il lavoro")?
Non possiamo dirlo, se non cadendo in vieti stereotipi. Ma se Milano (città più ricca d'Italia) in cinque anni crolla nelle classifiche sulla sicurezza (dal 46' al 102' posto, come ci ricorda il sociologo Ilvo Diamanti), allora forse i milanesi alla domanda fatidica non potranno rispondere "tutto bene, grazie", senza sentirsi un po' ridicoli.

lunedì 19 marzo 2007

Incipit

Globotomia nasce come spazio di riflessione critica di un gruppo di dottorandi in Sociologia. Una sorta di diario per registrare l'odissea dell'homo sociologicus, quello (per parodiare un famoso slogan pubblicitario) "che deve chiedere sempre". Chiedere cosa sta accadendo intorno a lui, svelare il trucco.
Il nome vagamente sinistro trae origine dalla sensazione di deprivazione cerebrale (quasi una lobotomia) che ci è causata dalla globalizzazione. In un duplice senso: la globalizzazione come sintesi di tutte le dinamiche sociali che (si vuol credere) sono ingovernabili, e la globalizzazione in quanto categoria che, come tutte le categorie, è necessaria e al tempo stesso opprimente, perché nel raccontare un mondo contribuisce a costruirlo.
Globotomia è un diario spontaneo, aperto ad amici e colleghi, sociologi e non, per "rompere il vetro". Il vetro che separa gli ambiti disciplinari, i gruppi di ricerca, le metodologie. Un vetro attraverso il quale tutti si guardano e tutti si ignorano.
Globotomia è un tentativo di costruire conoscenza attraverso la condivisione, una dimensione di discorso pre-scientifico dove scrivere per farsi capire, piuttosto che per evitare cattive recensioni; liberi dall'ansia delle citazioni e delle giustificazioni, senza avere sul collo il fiato dei referee.
E' il taccuino di chi va a vedere cosa succede in strada, sporcandosi il fondo dei pantaloni.