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martedì 9 ottobre 2007

I Bamboccioni di Stato

Il sempre simpatico ministro dell'economia, Tommaso Padoa-Schioppa, forse in un momento di stanchezza, forse deciso a migliorare il suo appeal televisivo, è uscito allo scoperto con una battuta spiritosa. Ha definito coloro che vivono a casa con i genitori oltre i 30 dei "bamboccioni". Sull'esegesi del termine non ci lanciamo, ma diciamo che voleva significare un ampio spettro di termini (bambini, bambocci, coglioni?).

Il fenomeno tutto italiano dei figli a carico oltre tempi ragionevoli è un problema reale e serio. Lo dicono le statistiche e le indagini.
Sulle cause c'è dibattito: dal materialismo storico (la precarietà del lavoro per i giovani) al sociologismo di varia lega (il familismo italico).
Diciamo che il ministro propende per la prima ipotesi: infatti la battuta era contestuale alla presentazione di un provvedimento per aiutare i giovani a pagare l'affitto. Un provvedimento interessante, diciamo.
Ma l'aspetto che più irrita di questa vicenda credo sia un altro: il comportamento dei giovani non è altro che l'effetto di condizioni comuni a una intera generazione. La classe dirigente di questo paese però stenta a prenderne atto e a tirarne le conseguenze.
La scarsa mobilità sociale del nostro paese è un fatto. Il ritardo nell'assolvere i compiti di crescita da parte dei giovani è anch'esso un fatto innegabile (un utile lettura può essere: Giovani del nuovo secolo: quinto rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia / a cura di C. Buzzi, A. Cavalli e A. de Lillo - Bologna - 2002).
Ma è un fatto anche che in questo paese nelle ultime elezioni due settantenni si sono affrontati come capi dei principali schieramenti. Persone che arriveranno da ultrasettantenni alla fine della legislatura.
Un paese che ci divertiamo a definire gerontocratico. E in effetti lo è. Ma l'anagrafe non è né un merito, né una colpa (come osserva l'ottantenne Enzo Biagi).

Quello che trovo insopportabile è l'incapacità della classe dirigente di capire la situazione, di mettersi nei panni degli altri, di ammettere errori e omissioni.

Il capo dei petrolieri italiani, a fronte di critiche precise (il prezzo del petrolio scende, ma non quello della benzina), rispondeva incolpando la "pigrizia" dei consumatori italiani (Basta non andare sotto casa a fare benzina!).

Non si può credere che fenomeni così complessi, si spieghino con variabili del tutto individuali (come le spiegazioni basate su "concetti psicologici" quali la "pigrizia", sempre lei); o su presunti caratteri nazionali ("gli italiani sono tutti mammoni"); oppure solo su variabili economiche ("Ti do questi mille euro, così te ne vai fuori casa").

Innanzitutto appare incredibile che si possa pensare che mille euro siano un incentivo sufficiente a superare problemi enormi come la precarietà del posto di lavoro. La precarietà è il più grande nemico dei progetti a lungo termine. Non si possono fare, a meno di non essere incoscienti (e credo che per ora sia l'unica soluzione percorribile: lasciarsi andare, prendere rischi, sperare in bene, sperare nel condono, nell'indulto...).

In secondo luogo non ho sentito nessuno della attuale classe dirigente (i simpatici settantenni di cui sopra), fare due conti: come si fa a uscire di casa, diciamo almeno a 25 anni?
Bisogna aver ottenuto un titolo di studio utile per trovare subito un lavoro; oppure avere trovato un lavoro a tempo indeterminato che garantisca di poter pagare un mutuo (diciamo 2.000 euro al mese?); oppure... Oppure possiamo fare che "la casa me la comprano i miei, così faccio l'indipendente".
Una seria riflessione dovrebbe partire da questa simulazione: a quali condizioni una persona (maschio o femmina? italiano o di origine straniera? è indifferente?) possa permettersi di abbandonare il nido e prendere il volo. Ne verrebbe fuori un quadro completamente diverso in cui le variabili economiche non spiegano tutto, ma spiegano molto, in cui sarebbe la nostra società nel suo insieme sotto esame, non gli individui.

Un altro esempio per capirci? Un altro dei think thank italiani è Confindustria. Anche gli imprenditori avrebbero ragione di lamentarsi dell'ingresso ritardato nel mondo del lavoro (energie nuove, nuove idee...). Eppure non li abbiamo mai sentiti denunciare una delle norme più significative del nostro mercato del lavoro: il CFL (Contratto di Formazione e Lavoro). Questo contratto si applica ai "giovani" dai 16 anni ai 32 anni. In alcune regioni (le più disagiate) il limite dei 32 anni può essere prolungato (in Lazio è 35 anni per esempio).
Quindi in Italia esiste un contratto studiato per i giovani (e molto utilizzato), inventato negli anni Ottanta, in base al quale a 32-35 anni sei ancora... un giovane. A quell'età dovresti essere fuori casa da dieci anni!

Quando in questi giorni si critica "la casta", credo che si voglia criticare proprio questa distanza abissale della classe politica (ma anche della classe dirigente nel suo insieme) dalla realtà.
Chi è che sta chiuso nella sua torre d'avorio?