L'iniziativa natalizia è bella e giusta. Venerdì 17 (!) dicembre 2010 Milano è stata attraversata da un tram (il mezzo di trasporto pubblico più caratteristico) carico di matti.
Lo slogan era: "Attaccati al tram", che a Milano significa più o meno... vai a quel paese. L'invito era rivolto al pregiudizio e all'ostilità di cui soffrono i "matti", coloro che sono in qualche misura colpiti dal disagio psichico. Ma anche alla malattia stessa, che si attacchi al tram un po' anche lei!
Per certi versi un'iniziativa geniale: perché fatta sotto Natale, e perché fatta a Milano, una città diventata più grigia di quanto non lo sia mai stata.
Eppure Milano è anche il luogo di sperimentazioni virtuose proprio nel campo della salute mentale: basta pensare a che cosa è divenuto l'ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini: un laboratorio al servizio di tutta la città.
Poi però si deve anche pensare a un dato: a Milano almeno il 20% della popolazione (anche se le cifre parlano di circa 300 mila persone, cioè quasi un quarto della popolazione, il 25%) soffre di una qualche forma di disagio psichico.
Ci sarebbe molto da dire per commentare questa notizia. O pochissimo, forse il silenzio sarebbe indice di una riflessione.
Certo è che di questo si dovrebbe parlare, e non di altro, proprio oggi che è iniziata la campagna elettorale per il Comune: proviamo a porre qualche domanda.
1) Esistono servizi adeguati per tutte queste persone?
Ovviamente (ovviamente?) la risposta è negativa: il disagio psichico è un pessimo business e quindi ci deve pensare solo il servizio pubblico... e non ce la fa. Gli operatori lo sanno benissimo.
2) La città è consapevole di questo problema? Quanto investiamo per affrontarlo, come comunità?
3) Non è che forse sarebbe ora di fare autocritica? Di mettere in discussione questo modello di vita?
E infine una provocazione ispirata da un'osservazione di Gino Mazzoli su Reggio Emilia: diceva ieri che a Reggio, negli anni Novanta si rivolgevano ai servizi territoriali, circa 500 persone; oggi circa 6000. Eppure Reggio è sempre in alto nella classifica delle città per qualità della vita (tipo quelle del Sole 24 Ore).
E allora proviamo a fare una domanda: perché non inserire questo dato (quello relativo alla salute mentale) tra gli indicatori per misurare la qualità di vita delle città? Forse non cambierebbe nulla (se Atene piange Sparta non ride), ma forse inizieremmo a mettere in discussione uno stolido modello di sviluppo.
domenica 19 dicembre 2010
Ma siamo matti?
Labels:
italia,
rischio,
Salute,
tendenze,
vita quotidiana
venerdì 1 ottobre 2010
La fine del libro di scuola
La notizia è arrivata anche sui telegiornali e sulla stampa: ormai sono molte le scuole che anche in Italia si mettono a produrre libri (che sembrano più che altro "dispense") per i propri studenti. La spiegazione del fenomeno è semplice ed è di carattere economico: in questo modo si risparmia dal 90 al 100% della spesa per i libri di scuola.
Perché si è arrivati a tanto?
1) perché c'è la crisi economica e la scuola è uno dei settori più colpiti, con le famiglie costrette a comprare la carta igienica e i gessetti.
2) perché le case editrici non hanno mai risposto al problema dei costi lamentato dalle famiglie e dalle associazioni dei consumatori. E' la stessa cosa che succede con la benzina: ci sono gli aumenti (sia che il prezzo al barile salga o scenda) e non si può fare nulla, se non pagare.
Il libro fai-da-te è una soluzione? Difficile che lo sia. Il valore dei libri di scuola risiede nella qualità: in quella dei testi e delle immagini e di tutti gli altri apparati multimediali di cui ormai si dispone. Però il problema resta ed è di due tipi.
1) Il mondo dell'editoria non riesce a stare dietro alle innovazioni tecnologiche che in gran parte lo rendono obsoleto: succede con i libri, ma anche con la musica, con i film...
Qual è l'unica risposta?
a) L'aumento delle tasse (per es. quella preventiva sulla pirateria, o quella sulle fotocopie) che poi colpisce sempre i consumatori, erodendo la loro capacità di spesa.
b) E poi le campagne contro la "pirateria". Il cui risultato in genere è quello di aiutare i regimi autoritari come dimostra il caso Microsoft-Russia: anche Bill Gates si è accorto che le leggi sul copyright sono uno strumento per politiche di controllo sociale. Anche se spesso non si calcola un altro effetto perverso: le grandi major della musica e del cinema si mettono in guerra contro i propri clienti, generando disaffezione se non risentimento.
2) Un'altra ragione legata alla prima è la totale incapacità di capire che cosa significhi stare nell'era dell'informazione e della conoscenza. Di certo significa mettere in discussione le situazioni consolidate dell'editoria della carta stampata (o della musica o del cinema). Ma significa anche la possibilità di nuove forme di produzione.
Se una delle aziende più importanti è diventata un "motore di ricerca" su Internet significa che le cose sono cambiate. E questo non significa affatto che chi tratta i contenuti (come un editore) non deve più esistere. Anzi chi possiede più conoscenza, mantiene una posizione di vantaggio rispetto agli altri. Questa è la vera ricchezza, almeno sul piano strategico.
Certo, non si è ancora "trovata la quadra", l'uovo di Colombo, la killer application... l'idea che farà fare il salto di qualità: ma allora si tratta di investire in ricerca, di discutere e approfondire. Questo è il destino della vecchia Europa. L'alternativa è ridursi all'irrilevanza.
Basterebbe leggere Asimov (l'Impero!), mica Wu Ming, per sapere che la conoscenza è una risorsa...
Perché si è arrivati a tanto?
1) perché c'è la crisi economica e la scuola è uno dei settori più colpiti, con le famiglie costrette a comprare la carta igienica e i gessetti.
2) perché le case editrici non hanno mai risposto al problema dei costi lamentato dalle famiglie e dalle associazioni dei consumatori. E' la stessa cosa che succede con la benzina: ci sono gli aumenti (sia che il prezzo al barile salga o scenda) e non si può fare nulla, se non pagare.
Il libro fai-da-te è una soluzione? Difficile che lo sia. Il valore dei libri di scuola risiede nella qualità: in quella dei testi e delle immagini e di tutti gli altri apparati multimediali di cui ormai si dispone. Però il problema resta ed è di due tipi.
1) Il mondo dell'editoria non riesce a stare dietro alle innovazioni tecnologiche che in gran parte lo rendono obsoleto: succede con i libri, ma anche con la musica, con i film...
Qual è l'unica risposta?
a) L'aumento delle tasse (per es. quella preventiva sulla pirateria, o quella sulle fotocopie) che poi colpisce sempre i consumatori, erodendo la loro capacità di spesa.
b) E poi le campagne contro la "pirateria". Il cui risultato in genere è quello di aiutare i regimi autoritari come dimostra il caso Microsoft-Russia: anche Bill Gates si è accorto che le leggi sul copyright sono uno strumento per politiche di controllo sociale. Anche se spesso non si calcola un altro effetto perverso: le grandi major della musica e del cinema si mettono in guerra contro i propri clienti, generando disaffezione se non risentimento.
2) Un'altra ragione legata alla prima è la totale incapacità di capire che cosa significhi stare nell'era dell'informazione e della conoscenza. Di certo significa mettere in discussione le situazioni consolidate dell'editoria della carta stampata (o della musica o del cinema). Ma significa anche la possibilità di nuove forme di produzione.
Se una delle aziende più importanti è diventata un "motore di ricerca" su Internet significa che le cose sono cambiate. E questo non significa affatto che chi tratta i contenuti (come un editore) non deve più esistere. Anzi chi possiede più conoscenza, mantiene una posizione di vantaggio rispetto agli altri. Questa è la vera ricchezza, almeno sul piano strategico.
Certo, non si è ancora "trovata la quadra", l'uovo di Colombo, la killer application... l'idea che farà fare il salto di qualità: ma allora si tratta di investire in ricerca, di discutere e approfondire. Questo è il destino della vecchia Europa. L'alternativa è ridursi all'irrilevanza.
Basterebbe leggere Asimov (l'Impero!), mica Wu Ming, per sapere che la conoscenza è una risorsa...
lunedì 19 luglio 2010
venerdì 9 luglio 2010
Gli estremisti e i moderati
Il più importante telegiornale italiano, la principale fonte di informazione per i cittadini italiani, pochi giorni fa, en passant, ha definito il sufismo come la "corrente moderata" dell'Islam.
Si tratta di un punto di vista davvero curioso: il sufismo, per quel che ci consta, non è esattamente definibile come una corrente. Le correnti (oltre a quelle marine e aeree) sono quelle politiche, per esempio, dei partiti. Se poi la "corrente" mistica di una religione, qualsiasi religione, possa essere considerata "moderata", è tutto da discutere. Potremmo mai definire "moderata" una comunità monastica?
Allora forse le parole tendono a dire altro, a nascondere un contenuto inconscio.
In primo luogo, se definisco il sufismo come "corrente moderata dell'Islam" significa che considero questa religione da un punto di vista politico, anzi geopolitico, come una nazione o l'insieme di più nazioni che condividono uno stesso progetto politico. Ma è davvero così? Iran e Libia, Malesia e Tunisia hanno un unico disegno politico? O piuttosto interessi nazionali che talvolta entrano in conflitto tra loro?
In secondo luogo, l'espressione "moderata" si riferisce a un presunto "estremismo": chi sono gli estremisti, in questo caso? I "fondamentalisti" islamici, ovvio. I quali sarebbero estremisti perché politicamente ostili all'Occidente (nel suo insieme).
Davvero è questo l'immagine che vogliamo veicolare dell'altro? Davvero vogliamo far finta che l'Islam si divida in buoni e cattivi in base all'atteggiamento (presunto) verso di noi?
Non è forse vero che anche in altri contesti religiosi i cosiddetti "fondamentalisti" assumono spesso posizioni più articolate e, per così dire, "moderate" dal punto di vista politico (pensiamo a certi ambienti ortodossi di Israele)?
La semplificazione è una pistola puntata contro la libertà di pensiero. E' una malattia tanto più micidiale quanto più è obliata, velata, nascosta.
"Le parole sono pietre" o se si preferisce: "Trend negativo? Ma come parla? Le parole sono importanti!".
Si tratta di un punto di vista davvero curioso: il sufismo, per quel che ci consta, non è esattamente definibile come una corrente. Le correnti (oltre a quelle marine e aeree) sono quelle politiche, per esempio, dei partiti. Se poi la "corrente" mistica di una religione, qualsiasi religione, possa essere considerata "moderata", è tutto da discutere. Potremmo mai definire "moderata" una comunità monastica?
Allora forse le parole tendono a dire altro, a nascondere un contenuto inconscio.
In primo luogo, se definisco il sufismo come "corrente moderata dell'Islam" significa che considero questa religione da un punto di vista politico, anzi geopolitico, come una nazione o l'insieme di più nazioni che condividono uno stesso progetto politico. Ma è davvero così? Iran e Libia, Malesia e Tunisia hanno un unico disegno politico? O piuttosto interessi nazionali che talvolta entrano in conflitto tra loro?
In secondo luogo, l'espressione "moderata" si riferisce a un presunto "estremismo": chi sono gli estremisti, in questo caso? I "fondamentalisti" islamici, ovvio. I quali sarebbero estremisti perché politicamente ostili all'Occidente (nel suo insieme).
Davvero è questo l'immagine che vogliamo veicolare dell'altro? Davvero vogliamo far finta che l'Islam si divida in buoni e cattivi in base all'atteggiamento (presunto) verso di noi?
Non è forse vero che anche in altri contesti religiosi i cosiddetti "fondamentalisti" assumono spesso posizioni più articolate e, per così dire, "moderate" dal punto di vista politico (pensiamo a certi ambienti ortodossi di Israele)?
La semplificazione è una pistola puntata contro la libertà di pensiero. E' una malattia tanto più micidiale quanto più è obliata, velata, nascosta.
"Le parole sono pietre" o se si preferisce: "Trend negativo? Ma come parla? Le parole sono importanti!".
Labels:
globalizzazione,
Islam,
italia,
Religione
venerdì 11 giugno 2010
Crisi, manovre e democrazia
La manovra finanziaria del governo italiano pare che costringa le Regioni a tagliare sui trasporti locali (quelli dei pendolari). E gli enti locali taglieranno forse anche altro (molte Regioni hanno dei bilanci in rosso per la sanità). Questi tagli arrivano comunque due anni dopo una stagione di altri tagli (quelli all'istruzione per es.).
Per quanto ci siano dure proteste, tutti sembrano concordare sulla necessità di manovre correttive dei conti pubblici. Sta succedendo in tutta Europa, soprattutto nell'area mediterranea e non è difficile prevedere che accadrà lo stesso nelle zone dell'Est Europa.
Come se non bastasse questo arriva alla fine di un trentennio che ha visto la progressiva "razionalizzazione" dei servizi pubblici, con la loro privatizzazione o con l'introduzione di meccanismi e regole dell'organizzazione aziendale e del mercato.
Questo processo, condotto negli anni 80 con fervore ideologico dalla destra liberale, è stato però continuato con pragmatismo (non sempre, basta pensare a Blair) dalla sinistra laburista o socialdemocratica negli anni 90 e nei primi del 2000.
Insomma, sono tutti concordi: bisogna tagliare la spesa sociale. Poi magari si discute di quali siano le misura più o meno eque, ma la sostanza non cambia.
A questo punto però una riflessione si impone.
Perché in Europa esisteva un tale sistema di protezione sociale? Perché lo Stato si occupava tanto dei suoi cittadini?
La risposta neoliberale a questa domanda potrebbe suonare più o meno così: il sistema è frutto del "buonismo", della dabbenaggine, dell'incapacità dei governi socialdemocratici.
Da parte loro i socialdemocratici o i laburisti sostengono, invece, che quale che siano le ragioni, oggi bisogna comunque tagliare i servizi.
Nessuno sembra prestare attenzione ai principi: cioè al legame tra godimento dei diritti di cittadinanza e democrazia. Non si sta sostenendo qui che se taglio i servizi allora c'è la rivolta sociale (in qualche caso, come in Grecia, c'è anche quella). Si sta solo dicendo che diminuire la protezione sociale significa aumentare l'insicurezza, non tanto in termini psicologici, quanto materiali.
Significa incidere sulle condizioni di vita della popolazione, in maniera peggiorativa. E questo non può non avere conseguenze sulla qualità della democrazia dei sistemi politici. Non garantire istruzione, salute e dignità della vecchiaia, significa modificare profondamente il panorama politico europeo.
Sembra però che la politica non si interessi affatto di tutto questo e lasci che siano gli economisti (alcuni economisti!) a decidere quale sia il profilo sociale dell'Europa.
I sistemi di sicurezza sociale in Europa sono stati costruiti per diversi motivi: per la responsabilità della classe dirigente; per i timori della distruzione del sistema democratico, sotto la spinta delle forze socialiste e comuniste; per senso di umanità e carità verso le classi sociali più sofferenti.
Ora che le spinta al cambiamento politico non esiste più, le classi dirigenti non temono di vedere messo in discussione lo status quo e quindi si lanciano in "riforme" che invariabilmente hanno il senso della riduzione dei diritti.
Per chi proprio non ce la fa, c'è sempre la carità cristiana. Sempre più necessaria e sempre più parte del sistema pubblico di aiuto alle povertà.
Ma siamo sicuri che si possa andare avanti così, senza mettere in discussione il sistema democratico nel suo insieme?
Per quanto ci siano dure proteste, tutti sembrano concordare sulla necessità di manovre correttive dei conti pubblici. Sta succedendo in tutta Europa, soprattutto nell'area mediterranea e non è difficile prevedere che accadrà lo stesso nelle zone dell'Est Europa.
Come se non bastasse questo arriva alla fine di un trentennio che ha visto la progressiva "razionalizzazione" dei servizi pubblici, con la loro privatizzazione o con l'introduzione di meccanismi e regole dell'organizzazione aziendale e del mercato.
Questo processo, condotto negli anni 80 con fervore ideologico dalla destra liberale, è stato però continuato con pragmatismo (non sempre, basta pensare a Blair) dalla sinistra laburista o socialdemocratica negli anni 90 e nei primi del 2000.
Insomma, sono tutti concordi: bisogna tagliare la spesa sociale. Poi magari si discute di quali siano le misura più o meno eque, ma la sostanza non cambia.
A questo punto però una riflessione si impone.
Perché in Europa esisteva un tale sistema di protezione sociale? Perché lo Stato si occupava tanto dei suoi cittadini?
La risposta neoliberale a questa domanda potrebbe suonare più o meno così: il sistema è frutto del "buonismo", della dabbenaggine, dell'incapacità dei governi socialdemocratici.
Da parte loro i socialdemocratici o i laburisti sostengono, invece, che quale che siano le ragioni, oggi bisogna comunque tagliare i servizi.
Nessuno sembra prestare attenzione ai principi: cioè al legame tra godimento dei diritti di cittadinanza e democrazia. Non si sta sostenendo qui che se taglio i servizi allora c'è la rivolta sociale (in qualche caso, come in Grecia, c'è anche quella). Si sta solo dicendo che diminuire la protezione sociale significa aumentare l'insicurezza, non tanto in termini psicologici, quanto materiali.
Significa incidere sulle condizioni di vita della popolazione, in maniera peggiorativa. E questo non può non avere conseguenze sulla qualità della democrazia dei sistemi politici. Non garantire istruzione, salute e dignità della vecchiaia, significa modificare profondamente il panorama politico europeo.
Sembra però che la politica non si interessi affatto di tutto questo e lasci che siano gli economisti (alcuni economisti!) a decidere quale sia il profilo sociale dell'Europa.
I sistemi di sicurezza sociale in Europa sono stati costruiti per diversi motivi: per la responsabilità della classe dirigente; per i timori della distruzione del sistema democratico, sotto la spinta delle forze socialiste e comuniste; per senso di umanità e carità verso le classi sociali più sofferenti.
Ora che le spinta al cambiamento politico non esiste più, le classi dirigenti non temono di vedere messo in discussione lo status quo e quindi si lanciano in "riforme" che invariabilmente hanno il senso della riduzione dei diritti.
Per chi proprio non ce la fa, c'è sempre la carità cristiana. Sempre più necessaria e sempre più parte del sistema pubblico di aiuto alle povertà.
Ma siamo sicuri che si possa andare avanti così, senza mettere in discussione il sistema democratico nel suo insieme?
Labels:
classe politica,
Conflitto sociale,
economia,
italia
lunedì 8 febbraio 2010
Chiusura dei manicomi, apertura delle carceri
Le due notizie sono solo apparentemente lontane.
1) A 30 dalla morte di Franco Basaglia, il grande riformatore della psichiatria italiana e non solo, la RAI trasmette una fiction molto interessante, in cui pur non mancando passi critici, si ricorda l'importanza della sua esperienza e della fine dell'internamento, delle violenze e delle umiliazioni della persona che spesso avvenivano nei manicomi.
2) Ci sono un sacco di valanghe in Italia, soprattutto il week end e spesso è colpa di avventati escursionisti che in qualche caso causano anche la morte dei soccorritori. Oggi qualcuno propone come soluzione il carcere per chi provoca valanghe.
Che nesso c'è tra le due cose?
Basaglia, e non solo lui, si batteva contro l'idea che i problemi sociali si risolvono togliendo dall'orizzonte comune le persone problematiche: internare le persone per non risolvere i problemi, per far finta che il problema non esista e tacitare le coscienze.
Dopo trent'anni in Italia per ogni problema sociale si propone la via della punizione (in senso retributivo) e dell'internamento: la valanghe sono solo l'ultimo dei motivi, in generale comunque si pensa di aumentare i posti in carcere.
Ma il problema rimane, anche se si realizzasse il "grande internamento" non funzionerebbe comunque. Buttare la polvere sotto il tappeto non ha mai risolto alcun problema e il carcere di oggi, a parte alcune importanti eccezioni non è un luogo da cui si esce cittadini migliori di come si era entrati.
La "grande opera" di cui forse avremmo bisogno è l'integrazione. La segregazione non ha mai funzionato, oltre a essere contraria ai principi cui si ispirano i nostri decantati valori...
1) A 30 dalla morte di Franco Basaglia, il grande riformatore della psichiatria italiana e non solo, la RAI trasmette una fiction molto interessante, in cui pur non mancando passi critici, si ricorda l'importanza della sua esperienza e della fine dell'internamento, delle violenze e delle umiliazioni della persona che spesso avvenivano nei manicomi.
2) Ci sono un sacco di valanghe in Italia, soprattutto il week end e spesso è colpa di avventati escursionisti che in qualche caso causano anche la morte dei soccorritori. Oggi qualcuno propone come soluzione il carcere per chi provoca valanghe.
Che nesso c'è tra le due cose?
Basaglia, e non solo lui, si batteva contro l'idea che i problemi sociali si risolvono togliendo dall'orizzonte comune le persone problematiche: internare le persone per non risolvere i problemi, per far finta che il problema non esista e tacitare le coscienze.
Dopo trent'anni in Italia per ogni problema sociale si propone la via della punizione (in senso retributivo) e dell'internamento: la valanghe sono solo l'ultimo dei motivi, in generale comunque si pensa di aumentare i posti in carcere.
Ma il problema rimane, anche se si realizzasse il "grande internamento" non funzionerebbe comunque. Buttare la polvere sotto il tappeto non ha mai risolto alcun problema e il carcere di oggi, a parte alcune importanti eccezioni non è un luogo da cui si esce cittadini migliori di come si era entrati.
La "grande opera" di cui forse avremmo bisogno è l'integrazione. La segregazione non ha mai funzionato, oltre a essere contraria ai principi cui si ispirano i nostri decantati valori...
Labels:
Conflitto sociale,
italia,
rischio,
Salute,
tendenze
venerdì 15 gennaio 2010
Dopo il flop dell'influenza A/H1N1, meglio Nanni Moretti o Topo Gigio?
Dunque anche l'Italia infine ha sospeso l'acquisto di vaccini per l'influenza A/H1N1. Speriamo solo che non faccia come altri paesi "ricchi" che li hanno rivenduti ai pavesi poveri...
Che cosa rimane dopo la paranoia mediatica?
1) Topo Gigio è immortale: ma quanti anni ha, e soprattutto come si cura?
2) di tutti gli allarmi moltiplicati dai mass media bulimici di emergenze, rimane un fatto importante: è bene lavarsi le mani più volte al giorno.
La memoria va allora a una narrazione di malattia molto particolare, l'ultimo episodio del film "Caro Diario" di Nanni Moretti. In "Medici", episodio dedicato alla sua malattia, felicemente superata, il regista spiega di aver capito una grande lezione:
3) diffidare dei luminari della medicina che prendono per allergia un tumore;
4) tutte le mattine, prima di fare colazione, bere un bel bicchiere d'acqua.
La cosa fa sorridere, ma è evidente che la crisi della medicina contemporanea sta tutta in queste esperienze: grandissime innovazioni, grandissima professionalità, troppi interessi commerciali e mancanza di qualsiasi educazione sanitaria degna di questo nome.
Lavarsi le mani, bere un bel bicchiere d'acqua... ci manca solo "una mela al giorno"!
Ma tant'è, ci voleva Topo Gigio...
Che cosa rimane dopo la paranoia mediatica?
1) Topo Gigio è immortale: ma quanti anni ha, e soprattutto come si cura?
2) di tutti gli allarmi moltiplicati dai mass media bulimici di emergenze, rimane un fatto importante: è bene lavarsi le mani più volte al giorno.
La memoria va allora a una narrazione di malattia molto particolare, l'ultimo episodio del film "Caro Diario" di Nanni Moretti. In "Medici", episodio dedicato alla sua malattia, felicemente superata, il regista spiega di aver capito una grande lezione:
3) diffidare dei luminari della medicina che prendono per allergia un tumore;
4) tutte le mattine, prima di fare colazione, bere un bel bicchiere d'acqua.
La cosa fa sorridere, ma è evidente che la crisi della medicina contemporanea sta tutta in queste esperienze: grandissime innovazioni, grandissima professionalità, troppi interessi commerciali e mancanza di qualsiasi educazione sanitaria degna di questo nome.
Lavarsi le mani, bere un bel bicchiere d'acqua... ci manca solo "una mela al giorno"!
Ma tant'è, ci voleva Topo Gigio...
Labels:
consumi,
globalizzazione,
Magia sociale,
rischio,
Salute,
vita quotidiana
Iscriviti a:
Post (Atom)