venerdì 1 ottobre 2010

La fine del libro di scuola

La notizia è arrivata anche sui telegiornali e sulla stampa: ormai sono molte le scuole che anche in Italia si mettono a produrre libri (che sembrano più che altro "dispense") per i propri studenti. La spiegazione del fenomeno è semplice ed è di carattere economico: in questo modo si risparmia dal 90 al 100% della spesa per i libri di scuola.

Perché si è arrivati a tanto?

1) perché c'è la crisi economica e la scuola è uno dei settori più colpiti, con le famiglie costrette a comprare la carta igienica e i gessetti.

2) perché le case editrici non hanno mai risposto al problema dei costi lamentato dalle famiglie e dalle associazioni dei consumatori. E' la stessa cosa che succede con la benzina: ci sono gli aumenti (sia che il prezzo al barile salga o scenda) e non si può fare nulla, se non pagare.

Il libro fai-da-te è una soluzione? Difficile che lo sia. Il valore dei libri di scuola risiede nella qualità: in quella dei testi e delle immagini e di tutti gli altri apparati multimediali di cui ormai si dispone. Però il problema resta ed è di due tipi.

1) Il mondo dell'editoria non riesce a stare dietro alle innovazioni tecnologiche che in gran parte lo rendono obsoleto: succede con i libri, ma anche con la musica, con i film...
Qual è l'unica risposta?

a) L'aumento delle tasse (per es. quella preventiva sulla pirateria, o quella sulle fotocopie) che poi colpisce sempre i consumatori, erodendo la loro capacità di spesa.

b) E poi le campagne contro la "pirateria". Il cui risultato in genere è quello di aiutare i regimi autoritari come dimostra il caso Microsoft-Russia: anche Bill Gates si è accorto che le leggi sul copyright sono uno strumento per politiche di controllo sociale. Anche se spesso non si calcola un altro effetto perverso: le grandi major della musica e del cinema si mettono in guerra contro i propri clienti, generando disaffezione se non risentimento.

2) Un'altra ragione legata alla prima è la totale incapacità di capire che cosa significhi stare nell'era dell'informazione e della conoscenza. Di certo significa mettere in discussione le situazioni consolidate dell'editoria della carta stampata (o della musica o del cinema). Ma significa anche la possibilità di nuove forme di produzione.

Se una delle aziende più importanti è diventata un "motore di ricerca" su Internet significa che le cose sono cambiate. E questo non significa affatto che chi tratta i contenuti (come un editore) non deve più esistere. Anzi chi possiede più conoscenza, mantiene una posizione di vantaggio rispetto agli altri. Questa è la vera ricchezza, almeno sul piano strategico.

Certo, non si è ancora "trovata la quadra", l'uovo di Colombo, la killer application... l'idea che farà fare il salto di qualità: ma allora si tratta di investire in ricerca, di discutere e approfondire. Questo è il destino della vecchia Europa. L'alternativa è ridursi all'irrilevanza.

Basterebbe leggere Asimov (l'Impero!), mica Wu Ming, per sapere che la conoscenza è una risorsa...