venerdì 11 giugno 2010

Crisi, manovre e democrazia

La manovra finanziaria del governo italiano pare che costringa le Regioni a tagliare sui trasporti locali (quelli dei pendolari). E gli enti locali taglieranno forse anche altro (molte Regioni hanno dei bilanci in rosso per la sanità). Questi tagli arrivano comunque due anni dopo una stagione di altri tagli (quelli all'istruzione per es.).

Per quanto ci siano dure proteste, tutti sembrano concordare sulla necessità di manovre correttive dei conti pubblici. Sta succedendo in tutta Europa, soprattutto nell'area mediterranea e non è difficile prevedere che accadrà lo stesso nelle zone dell'Est Europa.
Come se non bastasse questo arriva alla fine di un trentennio che ha visto la progressiva "razionalizzazione" dei servizi pubblici, con la loro privatizzazione o con l'introduzione di meccanismi e regole dell'organizzazione aziendale e del mercato.

Questo processo, condotto negli anni 80 con fervore ideologico dalla destra liberale, è stato però continuato con pragmatismo (non sempre, basta pensare a Blair) dalla sinistra laburista o socialdemocratica negli anni 90 e nei primi del 2000.
Insomma, sono tutti concordi: bisogna tagliare la spesa sociale. Poi magari si discute di quali siano le misura più o meno eque, ma la sostanza non cambia.

A questo punto però una riflessione si impone.
Perché in Europa esisteva un tale sistema di protezione sociale? Perché lo Stato si occupava tanto dei suoi cittadini?
La risposta neoliberale a questa domanda potrebbe suonare più o meno così: il sistema è frutto del "buonismo", della dabbenaggine, dell'incapacità dei governi socialdemocratici.
Da parte loro i socialdemocratici o i laburisti sostengono, invece, che quale che siano le ragioni, oggi bisogna comunque tagliare i servizi.

Nessuno sembra prestare attenzione ai principi: cioè al legame tra godimento dei diritti di cittadinanza e democrazia. Non si sta sostenendo qui che se taglio i servizi allora c'è la rivolta sociale (in qualche caso, come in Grecia, c'è anche quella). Si sta solo dicendo che diminuire la protezione sociale significa aumentare l'insicurezza, non tanto in termini psicologici, quanto materiali.
Significa incidere sulle condizioni di vita della popolazione, in maniera peggiorativa. E questo non può non avere conseguenze sulla qualità della democrazia dei sistemi politici. Non garantire istruzione, salute e dignità della vecchiaia, significa modificare profondamente il panorama politico europeo.

Sembra però che la politica non si interessi affatto di tutto questo e lasci che siano gli economisti (alcuni economisti!) a decidere quale sia il profilo sociale dell'Europa.

I sistemi di sicurezza sociale in Europa sono stati costruiti per diversi motivi: per la responsabilità della classe dirigente; per i timori della distruzione del sistema democratico, sotto la spinta delle forze socialiste e comuniste; per senso di umanità e carità verso le classi sociali più sofferenti.

Ora che le spinta al cambiamento politico non esiste più, le classi dirigenti non temono di vedere messo in discussione lo status quo e quindi si lanciano in "riforme" che invariabilmente hanno il senso della riduzione dei diritti.
Per chi proprio non ce la fa, c'è sempre la carità cristiana. Sempre più necessaria e sempre più parte del sistema pubblico di aiuto alle povertà.

Ma siamo sicuri che si possa andare avanti così, senza mettere in discussione il sistema democratico nel suo insieme?